viti di seta per fratture ossee

Viti di seta per riparare le fratture ossee

Apprezzata per la sua eleganza e la sua leggerezza nell’industria della moda, la seta riveste adesso un ruolo rivoluzionario in ambito medico grazie alla sua straordinaria resistenza. Un team della Tufts University, nel Massachusetts, ha infatti utilizzato proteine di seta pura per costruire un nuovo tipo di viti per riparare le fratture ossee.

I contro delle viti in metallo che riparano le ossa

Nella prassi medica attuale, quando un osso si frattura è necessario ricorrere a viti di metallo o, nel migliore dei casi, di materiali biodegradabili, che vanno inserite per tenere insieme le due parti. Tuttavia, entrambi questi elementi presentano grossi svantaggi, dalla difficoltà di impianto al rischio di infezioni e reazioni infiammatorie. Inoltre, le viti in metallo spesso necessitano di una seconda operazione per essere rimosse.

Per risolvere queste difficoltà, gli scienziati hanno purificato le fibre di seta, le hanno disciolte in una soluzione con cui hanno riempito degli stampi a forma di viti e le hanno fatte addensare. Una volta solidificate, queste viti sono state impiantate con successo nei femori di sei ratti da laboratorio. I risultati, pubblicati lo scorso marzo su Nature Connnunication, sono stati sorprendenti: le viti si sono rivelate abbastanza resistenti da crearsi la filettatura nell’osso, proprio come le viti metalliche, e sono rimaste fisse nella loro posizione per le 8 settimane di osservazione previste, iniziando a dissolversi una volta svolto il proprio compito.

Le viti in seta e tutti vantaggi della nuova ricerca

Uno dei principali benefici delle viti di seta è la loro capacità di degradarsi nel tempo e questo è fondamentale soprattutto nelle ossa dei bambini, in continua crescita. Inoltre, la seta può anche essere utilizzata per trasportare farmaci al sito di rilascio, per ridurre la probabilità di infezioni e accelerare così la guarigione dell’osso.

Un ulteriore vantaggio consiste poi nel fatto che questi dispositivi, diversamente da quelli in metallo, non interferiscono con i raggi X, facilitando il monitoraggio dell’ano fratturato e evitando problemi ai controlli di sicurezza negli aeroporti. Questa scoperta, rivoluzionaria per la chirurgia, supera i limiti delle tecnologie attualmente usate, ma dovremo attendere ancora un po’ perché sia messa a punto. I principali passi ancora da fare sono innanzitutto ulteriori studi su animali e, in seguito, studi predittici sull’uomo. La tecnologia è realizzabile a patto che si intensifichino gli sforzi per raccogliere i fondi necessari, dal momento che si tratta di studi molto costosi.

vestiti per marte

Vestiti per Marte

La tuta spaziale aderente di Dava Newman, la BioSuit, contrasta con l’aspetto tradizionale delle tenute da astronauta.

Le tute per volare nello spazio

La NASA non produce in taglia small la propria attuale tuta, la Extravehlcular Mobility Unit (EMU), mentre la Newman vuole rendere possibile anche a donne sotto il metro e sessanta l’esplorazione di Marte. Il suo obiettivo principale, però, è di dare più mobilità agli astronauti. Lo spazio è vuoto, e quindi la tuta deve fornire la pressione necessaria perché il corpo degli astronauti non si dilati. A questo fine l’EMU usa del gas, che ne fa un aggeggio ingombrante in modo quasi
insopportabile. Inoltre si rimane sbilanciati dai pesanti zaini che contengono gli apparati per la respirazione.

La squadra di fisici e progettisti della Newman propone una tuta spaziale a compressione meccanica, che usa tessuti elastici anziché gas per tenere sotto pressione l’astronauta. La stanno creando in elastan, nylon e un nuovo materiale brevettato. La struttura dell’uniforme é data dal supporti per rinforzare i punti sottoposti a maggor tensione. Si ottiene così la pressione necessaria: circa un terzo di quella dell’atmosfera al livello del mare.
II gruppo sta mettendo a punto un casco ridotto, tenuto in pressione da un gas.

Gli astronauti dovranno essere in grado di guardarsi alle spalle, e quindi bisogna creare uno snodo a tenuta d’aria tra il casco e il resto della BioSuit.
Karl Langer – un anatomista dell’Ottocento – studio e registrò le linee di tensione nella pelle umana. Le sue ricerche hanno ispirato la struttura dei rinforzi metallici della tuta, che corrispondono ai punti critici di trazione.
Infine, ci sarà un sistema modulare per permettere agli astronauti di portare solo il necessario e di cambiare rapidamente le bombole di ossigeno nel corso delle missioni più lunghe.

La nuova tuta per lo spazio

Quando gli astronauti non esploreranno la superficie di un pianeta, si rilasseranno nella Stazione gale. Ma il tempo libero è un problema. Sulla Terra i muscoli e le ossa devono contrastare l’attrazione gravitazionale. Se non vengono usati come succede in assenza di gravità, invece si deteriorano. Inoltre, nello spazio gli astronauti possono crescere più di 7 centimetri, dato che la gravità non comprime più la colonna vertebrale. Quando torneranno sulla Terra, avranno un rischio quadruplicato di ernia del disco. Per risolvere questi problemi, due gruppi di ricerca del Kings Collega di Londra e del MIT (Massachusetts Instiate of Technology) hanno progettato questa tuta aderente che mantiene la struttura corporea.

In sostanza, cerca di sostituire la compressione data dalla forza di gravità su tutto il corpo. Dotata di staffe che passano sotto i piedi, la tuta elastica è appositamente troppo corta perché si tenda quando viene indossata “tirando” le spalle verso i piedi. Inoltre il tessuto che copre le gambe si tende di più che sul torso. In modo che gli arti inferiori sopportino una forza maggiore, riproducendo l’effetto della forza di gravità terrestre, che infatti aumenta via via che si scende verso i piedi.

spugna per perdite di petrolio

La spugna intelligente contro le perdite di petrolio

Per pulire una superficie sudicia, il modo migliore è utilizzare una spugna abbastanza grande da assorbire tutto lo sporco. E’ questo, in effetti, quello che hanno pensato alcuni ricercatori statunitensi quando hanno progettato una spugna in grado di pulire il petrolio. Spesso si pensa, infatti, che sia sufficiente usare un buon detergente per pulire qualsiasi tipo di superficie. La scienza, però ci invita a raccogliere le ultime novità in fatto di pulizie. In America, infatti, è stata brevettata una nuovissima spugna in grado di contrastare il fenomeno legato alle perdite di petrolio. Scopriamo di cosa si tratta.

Come funziona la spugna intelligente?

Ma come fare se occorre pulire il mare? Un team di scienziati della Università del Wisconsin-Madison, negli Stati Uniti, lo ha spiegato in un articolo recentemente pubblicato sul Journal of Materiuls Chemistry. Gli scienziati, guidati dalla professoressa di ingegneria biomedica Shaoqin Gong, hanno sviluppato una nuova tecnologia aerogel capace di assorbire petrolio e altri agenti chimici senza assorbire anche l’acqua. Una proprietà unica di questo materiale è che ha una capacità di assorbimento superiore per i solventi organici, fino a 100 volte il proprio peso.

Ha anche una grande capacità assorbente per gli ioni metallici. Gli aerogel sono delle sostanze dalle proprietà straordinarie. Si tratta di materiali sintetici altamente porosi, derivati dai gel, in cui però alla parte solida viene miscelato un gas invece che un liquido come nel caso di questi ultimi. Sono i solidi più leggeri che esistano e grazie alle loro caratteristiche hanno già trovato applicazione in diversi ambiti, dall’isolamento termico degli edifici alle esplorazioni spaziali.

L’applicazione della spugna da parte della NASA

Nella missione Stardust, infatti, la NASA ha utilizzato questa tecnologia per intrappolare campioni di polvere interstellare senza danneggiarla. L’aerogel utilizzato nel laboratorio di Gong è costituito da fibre di cellulosa derivate dal legno e sia i materiali che i processi per ottenerli sono eco-compatibili. un aspetto a cui i ricercatori hanno prestato particolare attenzione. Viviamo in un periodo in cui l’inquinamento è un problema grave, soprattutto per la salute umana e per gli ‘animali dell’oceano secondo Gong.

L’interesse primario è stato sviluppare una tecnologia che potesse avere un impatto sociale positivo. L’idea è che, se per esempio si ha una perdita di petrolio, si possa lanciare uno strato di aerogel nell’acqua e questo inizierà ad assorbire l’agente inquinante molto velocemente e in modo efficiente. Una volta saturo, è possibile recuperarlo e strizzare via tutto il petrolio.

nasi e orecchie ricavati dal grasso

Nasi e orecchie ricavati dal grasso

Un gruppo di scienziati del Great Onnond Street Hosp tal e della UCL (University College London) ha svolto una ricerca che potrebbe rivoluzionare la ricostruzione facciale. Si tratta di una scoperta potenzialmente rivoluzionaria che si basa su un utilizzo innovativo delle cellule staminali che verrebbero impiegate per ricostruire parti del corpo danneggiate a causa di infezioni interne oppure esterne. Scopriamo qualcosa in più.

Le staminali al servizio del corpo

In uno studio pubblicato sulla rivista Nanomedicine, gli scienziati hanno proposto un metodo per riconvenire in cartilagine le cellule staminali prelevate dal grasso addominale dei pazienti e far crescere così in laboratorio le orecchie da trapiantare. Attualmente il modo più fisiologica di ricostruire la cartilagine dell’orecchio nei bambini con difetti di nascita (o lesioni traumatiche) consiste nel prelevare la cartilagine dalla punta delle coste del torace, scolpirla a forma di orecchio e impiantarla.

Il paziente però è costretto in questo modo a sottoporsi a una operazione per il prelievo, con conseguente cicatrice e stress post-operatorio, e a un deficit aggiuntivo: la cartilagine prelevata dalle coste infatti non si rigenera più. D’altro canto, utilizzare materiali sintetici presenterebbe un elevato rischio di rigetto.

Usare le staminali per eliminare i difetti

Il lavoro di ricerca svolto dai ricercatori potrebbe superare tutte queste difficoltà. E’ stato dimostrato che le cellule staminali possono essere derivate da piccolissime quantità di grasso addominale e possono essere indotte a differenziarsi in cartilagine. L’uso di queste cellule, in combinazione con un’impalcatura biocompatibile per conferire, forma e forza, da un lato ridurrà la possibilità di rigetto, dall’altro eviterà interventi chirurgici ripetuti e la necessità di immunosoppressione, un aspetto molto importante per dei bambini malati sottoposti a diverse procedure mediche.

Inoltre, prelevare il grasso per le staminali è molto meno invasivo e doloroso rispetto al prelievo del midollo osseo. Sebbene l’attenzione dei ricercatori sia focalizzata sui bambini con difetti di nascita, questo metodo può essere utilizzato anche per la ricostruzione facciale negli adulti. In più, questa tecnica è talmente potente da poter essere applicata anche per la ricostruzione di altri tipi di cartilagine, come la laringe e il naso. Il prossimo passo sarà usare queste cellule in combinazione con un’impalcatura in grado di riassorbirsi con il tempo, lasciando la cartilagine viva della forma corretta che può crescere con il bambino. L’uso clinico è previsto entro i prossimi 5-10 anni.

controllare i sogni

Imparare a controllare i sogni

Sappiamo che i sogni possono sembrare strani, bizzarri e a volte anche spaventosi, ma immaginiamo di essere in grado di prenderne il controllo e di influenzarne l’andamento. Diventeremmo di fatto onnipotenti e saremmo in grado di vivere le nostre fantasie più estreme.

La nascita di Aurora

È quello che ci promette l’Aurora Dream-Enhancing Headband della iWinks. Chi l’ha progettato afferma che aiuta ad avere sogni lucidi, cioè quello stato in cui si è consci di sognare. All’inizio ci si riesce magari per un paio di secondi, ma perseverando ci si può allenare a raggiungere periodi più lunghi c a diventare più consci durante il sogno. E più siamo consci più possiamo controllare quello che accade. Ecco come funziona. Ci si fissa attorno alla testa la fascia Aurora della iWinks e ci si corica per la notte.

L’Aurora ci osserva durante il sonno, in modo da capire quando entriamo nella fase si sonno REM ed è quindi più probabile che sogniamo; monitora le nostre onde celebrali e i movimenti oculari e usa un accelerometro per capire quando ci muoviamo di meno e abbiamo quindi il sonno più profondo. Una volta che siamo profondamente addormentati, l’Aurora si mette al lavoro. Emette una serie di luci lampeggianti e di suoni che appaiono nel nostro sogno. Quando li riconosciamo, ci rendiamo conto di sognare e possiamo quindi assumere il controllo, per cominciare a fare quello che vogliamo. O almeno questa è la teoria.

Possibili svantaggi del gadget

Ma non è lutto oro quel che luccica. Questo apparecchio non garantisce che avremo sogni lucidi; certe notti neppure entreremo nel sonno REM. E se anche ci entriamo, è possibile che i suoni e le luci ci sveglino, anziché renderci consci del fatto di sognare. L’Aurora è comunque più progredito di molti apparecchi concorrenti. Per cominciare, possiamo personalizzare il ritmo e i colori delle luci lampeggianti, e modificarne la luminosità. Quindi, se abbiamo il sonno leggero possiamo impostarle al minimo perché non ci sveglino. L’Aurora, inoltre, rileva quando entriamo nel sonno REM e si attiva a quel punto, mentre altri strumenti precedenti tirano a indovinare, e in genere sbagliano.

Si collega via bluetooth al nostro smartphone, e così possiamo inserire nei sogni i nostri suoni preferiti. Alcuni esperti sono però scettici. lan Wallace è uno psicologo specializzato in sogni, autore di The Top 100 Dreams; secondo lui, l’Aurora non è esattamente affidabile. Se imparare ad avere sogni lucidi è come andare in bicicletta, allora questo apparecchio fa da rotelline. Trovare la luminosità giusta richiederà tentativi ed errori, soprattutto perché la leggerezza del sonno varia da notte a notte.

controllare la fame

Come controllare la fame

Ognuno di noi, dopo un lungo, stancante pomeriggio di lavoro, a un certo punto inizia a sentire i crampi della fame. Sebbene questa sia una funzione necessaria alla sopravvivenza, non è solo per nutrirci che, di fatto, mangiamo. E’ il cervello che bisogna indagare per capire perché alcuni individui sentono la fame più di altri e non riescono a controllare questo impulso.

Perchè abbiamo fame?

La domanda da un miliardo di dollari è: come funziona questo meccanismo? Un nuovo studio pubblicato lo scorso febbraio stilla rivista Nature può aiutarci a scoprirlo. L’obiettivo generale degli studi è quello di individuare lo schema di cablaggio neurale che controlla la fame”, spiega il neumendocrinologo Bradford Lowell, uno degli autori della ricerca.

Il team di scienziati del Belli Israel Deaconcss Medical Center e della Hanord Medical School aveva precedentemente identificato un gruppo di cellule, i neuroni che producono il peptide correlato alla proteina Agouti (AgRP), che regolano i comportamenti alimentari e che, quando stimolate, spingono a mangiare voracemente. Adesso il team guidato da Lowell è riuscito a localizzale questi neuroni.

La scoperta di Lowell e i neuroni che attivano la fame

Utilizzando nuove tecnologie che permettono di mapparli uno a uno, sono stati in grado di scoprire quali tra i milioni di neuroni del cervello di un topo fornivano l’input a quelli AgRP, dice Lowell. In particolare, la tecnologia utilizzata in questo studio sfrutta una versione modificata del virus della rabbia, che viene manipolato per infettare solo i neuroni AgRP e risalire così all’origine del segnale. Contro ogni aspettativa, gli scienziati hanno scoperto che la regione coinvolta é il nucleo paraventricolare, una regione che a lungo era stata considerata la sede della sazietà.

Il team ha testato questa scoperta su un gruppo di lupi da laboratorio in cui venivano attivati o disattivati i neuroni responsabili dell’appetito, col risultato che i topolini che si erano appena nutriti continuavano a mangiare compulsivamente, mentre quelli che erano a digiuno da molto tempo non cercavano cibo.

Questa scoperta può essere un importante pomo di partenza per lo sviluppo di terapie contro l’obesità e di altri disturbi alimentari, in allarmante crescita nel mondo occidentale. È difficile ancora dire quando si potrà agire per combattere questi disturbi. Sicuramente gli studiosi si stanno avvicinando sempre di più a una comprensione complessiva e più ne sapremo, maggiori saranno le possibilità di intervenire.

calzino che fa battere il cuore

Il calzino che fa battere il cuore

Il calzino che avvolge il cuore e lo fa battere: questa potrebbe essete una delle ultime invenzioni in grado di trasformare il futuro della medicina. I ricercatori dell’Università dell’Illinois hanno creato una guaina flessibile di silicone che circonda completamente il cuore e ne monitora in modo costante lo stato di salute.

Il calzino-pacemaker: la rivoluzione del cuore

Il dispositivo che hanno realizzato consiste di sottile membrana di silicone a cui sono stati applicati sensori e componenti elettronici ultrasottili. A confermarlo ci sarebbe anche John Rogers. uno degli autori dello studio. Questa guaina è capace di misurare vari parametri fondamentali per la salute cardiovascolare, come il pH, la temperatura e l’attività elettrica. Gli scienziati hanno testato il prototipo prima sulla copia del cuore di un coniglio stampata in 3D e poi hanno applicato il calzino a un cuore vero, mantenendolo pulsante anche fuori dal corpo dell’animale. Ma le sorprese non si fermano qui.

La guaina può essere anche stimolata sia elettricamente (come un tipo avanzato di pacemaker c/o un defibrillatore) sia termicamente. In futuro, si immagina questo tipo di dispositivo come un impianto che può continuamente misurare i processi del cuore e addirittura intervenire, per esempio mediante stimolazione elettrica, per aiutare a prevenire alcune forme di malattie cardiache.

Il futuro di questa scoperta

Questa nuova tecnologia, per come è stata progettata, è capace di fare cose al momento impossibili. Per esempio, i pacemaker o i defibrillatori utilizzati oggi agiscono solo in un singolo punto di contatto, mentre il nuovo sistema può produrre la stimolazione elettrica in complesse configurazioni spazio-temporali. Tuttavia bisognerà aspettare ancora molto per la calzino del calzino-pacemaker. C’è bisogno di esaminare ulteriormente la realizzabilità e la biocompatibilità a lungo termine. Una delle sfide chiave è quella di racchiudere elettricamente i componenti del dispositivo per isolarli dai biofluidi circostanti. Intanto stanno iniziando gli esperimenti su modelli animali e si prevede di sviluppare sistemi simili per monitorare anche altri organi, come il cervello.

Si tratta di una scoperta che potrebbe rivoluzionare completamente la medicina e il modo di affrontare le malattie cardiovascolari: il calzino che controlla il cuore nel tempo potrebbe essere ancora perfezionato anche per rispondere alle numerose esigenze dei malati cardiovascolari che – anche dopo aver subito una brutta esperienza – spesso si trascurano, anche nelle medicine, pensando che una cura momentanea sia sufficiente per mettere a posto il cuore definitivamente. Nella realtà non è così e il calzino per il cuore ne è la dimostrazione.

algoritmi governano il mondo

Gli algoritmi governeranno il mondo?

A sessant’anni dalla morte di Man Turing, la nostra vita in casa e in ufficio è sempre più spesso organizzata da automi che, come i nostri telefoni, tablet e atri dispostivi, mettono in atto comportamenti estremamente intelligenti. Che cosa penserebbe il padre dei moderni computer dell’intelligenza artificiale che oggi pervade il nostro mondo?

Le scoperte di Turing

Turing é noto soprattutto per la sua attività di crittoanalista a Bletokley Parti, durante la Seconda guerra mondiale, che consentì al governo britannico di violare i cifrari tedeschi. Nel 1952 fu arrestato per pratiche omosessuali, all’epoca contro la legge, e morì suicida nel 1954, ad appena 41 anni. Nel dicembre 2013, dopo una lunga campagna a suo favore, gli venne rivolto un atto di pentimento postumo dai Reali inglesi. Ma a parte il suo fondamentale lavoro in epoca bellica, Turing è considerato anche ridestare dell’odierna informatica. Lo scienziato inglese aveva riflettuto a lungo sulla questione, rappresentata da corre riconoscere l’intelligenza artificiale.

‘Le macchine possono pensare?’, si chiedeva. Evitò vaghe elucubrazioni sulla natura della coscienza e suggerì un test di Turing” estremamente concreto: se, dopo una lunga conversazione (oggi diremmo condotta attraverso uno schermo e una tastiera), ancora non si riesce a stabilire se le risposte ricevute siano state generate da un umano o da una macchina allora dobbiamo riconoscere che, a tutti gli effetti, il nostro interlocutore, chiunque o qualunque ossa esso sia, ‘pensa’ proprio come uno di noi.

L’algoritmo di Google che domina il mondo

Oggi, alcuni dei rostri sistemi intelligenti comunicano effettivamente secondo le modalità ipotizzate da Turing: ma i comportamenti di questi dispostivi sono dettati non dal pensiero umano, ma da algoritmi. Si tratta di procedure che codificano nozioni o competenze in un insieme di regole: per arrivare a una risposta, basta seguire istruzioni predeterminate (un esempio è il metodo imparato a scuola per risolvere le divisioni lunghe). l’origine degli algoritmi è antichissima (gli antichi Greci avevano già messo a punto procedure codificate per individuare i primi numeri), ma la loro età d’oro coincide con la diffusione dei computer.

E’ possibile che in futuro non riusciremo più a distinguere pensiero umano da quello artificiale. Sui mercati azionari, per esempio, l’interazione tra algoritmi superveloci può determinare squilibri incontratati, sia in positivo che in negativo, ancora prima che gli operatori umani ne siano consapevoli. Utilizzati a fini commerciali, possono acquisire un potere spaventoso. PageRank, Per esempio, e l’agoritmo utilizzato da Google per classifcare i risultati ottenuti da ricerche sul web. Il contenuto, naturalmente, è segreto, ma ogni volta che Google ne corregge i meccanismi, l’ordine degli esiti delle ricerche cambia. Influenzando cosi i destini commerciali di aziende e prodotti di tutto il mondo.